Necrologia Raphael Schwitter
Lettura commemorativa di Raphael Schwitter, Herisau, 2015
Raphael Schwitter, attualmente ricercatore associato presso l’Istituto di storia della Riforma svizzera (Institut für Reformationsgeschichte, IRG) dell’Università di Zurigo, fu allievo di Virgilio Masciadri durante i suoi studi nella stessa università. Riportiamo di seguito il suo intervento dedicato all’opera scientifica del maestro.
Signore e signori,
mi è stato chiesto di illustrare un aspetto del lavoro di Virgilio che, con ogni probabilità, molti di voi non conoscono. Accetto con piacere questo incarico, poiché Virgilio fu per me non soltanto una guida accademica, ma anche un caro amico.
Durante gli anni all’Università di Zurigo, difficilmente mancai una sua lezione. Il suo insegnamento, perspicace e arguto, e il metodo, stimolante e talvolta provocatoriamente controverso, rendevano ogni suo intervento un autentico spettacolo di erudizione.
In questa sede, cercherò di trasmettervi un’idea del suo approccio alla ricerca. Con la vostra pazienza – che mi auguro di non mettere eccessivamente alla prova – mi concentrerò sui due pilastri della sua produzione accademica: la tesi di laurea e la tesi di abilitazione.
La sua carriera accademica ebbe inizio con lo studio della commedia antica, in particolare di Plauto. La tesi di laurea affrontava il tema dello scambio d’identità nei Menaechmi (Menecmi) e nell’Amphitruo (Anfitrione), due commedie plautine i cui modelli greci sono andati perduti.
Virgilio sosteneva che da queste opere latine si potesse risalire a un genere teatrale greco specifico, da lui definito “commedia della confusione”. È noto che la commedia romana del II secolo a.C. – rappresentata da Plauto e Terenzio – attingesse a piene mani dal teatro greco contemporaneo, tanto nei temi quanto nelle convenzioni sceniche. La cosiddetta “Nuova Commedia”, fiorita in quel periodo, ambientava le sue trame nell’ambiente borghese delle città antiche, trattando conflitti privati e situazioni realistiche.
Il suo massimo esponente, Menandro, fornì il modello per numerose commedie plautine. Nel dramma antico, ricorrono schemi narrativi precisi: l’intrigo, il riconoscimento, lo scontro generazionale. Un giovane, diviso tra passione amorosa e desiderio di libertà, si scontra con un padre o un anziano custode delle convenzioni sociali; uno schiavo astuto orchestra inganni, il vecchio reagisce, e la vicenda si conclude, come di consueto, in una riconciliazione.
I Menaechmi di Plauto ruotano interamente attorno alla confusione identitaria: due gemelli, entrambi di nome Menaechmus, separati alla nascita, si ritrovano inconsapevolmente nella stessa città, generando una serie di equivoci risolti solo dal riconoscimento finale. L’Amphitruo, invece, occupa una posizione unica nel corpus plautino ed è probabilmente uno dei testi drammatici più influenti del teatro occidentale: Giove assume le sembianze del marito Alcmena, mentre Mercurio impersona il servo Sosia, scatenando una catena di malintesi che si risolve solo nel finale.
Poiché i modelli greci sono per lo più perduti, è difficile stabilire con certezza ciò che Plauto riprese dalla tradizione e ciò che invece reinventò. Eviterò di addentrarmi nei dettagli di questa complessa questione filologica, di certo Plauto non si limitò a tradurre le commedie greche, ma le rimodellò autonomamente e le adattò alle circostanze romane. Ciò che qui interessa è osservare come la critica recente si sia concentrata sugli elementi originali del teatro plautino.
Virgilio, tuttavia, scelse una strada più ardua: collocare Menaechmi e Amphitruo nel contesto storico della Nuova Commedia, sia sul piano drammaturgico che tematico. Per ricostruire testi perduti, si avvalse degli strumenti offerti dal filologo italiano Maurizio Bettini e dal semiologo russo Jurij Lotman, adottando un approccio strutturalista volto a individuare gli schemi narrativi profondi.
Dalle analogie emerse, e partendo dal presupposto che la trama della commedia di Plauto corrispondesse abbastanza fedelmente al modello greco, ipotizzò l’esistenza di un genere greco da lui battezzato “commedia della confusione”. Le sue conclusioni suscitarono dibattiti accesi nella comunità scientifica, non senza motivo.
La sua prosa in quegli anni era elegante e creativa, ma talvolta volutamente ambigua. Titoli come L’errore di tessitura o Lezione di lettura sfidavano apertamente le convenzioni accademiche. Il suo stile, didascalico e confidenziale, conduceva il lettore attraverso percorsi intellettuali non lineari, tra ironia sottile e deliberata provocazione.
Per rendere l’idea, lascio la parola a lui stesso:
“Ovunque si parli di lettura, prima o poi si parla anche di senso, di significato, di comprensione. Questo sposta la ‘lettura’ verso l’‘interpretazione’. La questione viene condotta in un campo (…) che è già stato occupato da due potenti chiese nazionali della scienza: la strutturale-semiotica e la ricezione-estetica-ermeneutica. Il lettore può facilmente intuire che non mostreremo alcuna inclinazione a impegnarci per l’una o l’altra confessione, né a rifugiarci in un ecumenismo vincolante. Non perché pensassimo che non ci fosse nulla da imparare nelle chiese regionali, al contrario: chiediamo fiduciosamente al lettore di crederci che lì siamo stati istruiti su parecchie cose, anche se non abbiamo il desiderio di sostenerlo in una lunga nota con i bei nomi di tutte le auctoritates”.
Il metodo strutturalista segnò in modo duraturo il suo lavoro. Più che la trama in sé, lo interessava il tessuto del testo. Non a caso, amava ricordare che la parola tedesca Text deriva dal latino textura, “intreccio”. Per lui, interpretare significava riconoscere gli schemi di quell’ordito, contarne i fili.
In questa prospettiva strutturalista, sia l’autore che il lettore perdono la loro centralità, diventando elementi secondari nell’analisi testuale. Questo approccio portava Virgilio a guardare con scetticismo i metodi tradizionali della filologia classica. Anzi, aveva sviluppato una straordinaria capacità di smascherare le debolezze di queste metodologie consolidate, evidenziandole con rigore implacabile.
Non sorprende, dunque, che Virgilio abbia scelto i miti greci come oggetto della sua tesi di abilitazione. La mitologia rappresenta infatti un campo d’indagine privilegiato per lo strutturalismo, secondo l’impostazione teorica sviluppata dall’antropologo francese Claude Lévi-Strauss. Per lo studioso francese, l’analisi strutturalista non si limita ai fenomeni superficiali, ma penetra fino alle strutture profonde che li generano e organizzano. Il vero obiettivo è individuare il sistema sottostante e descriverne le leggi fondamentali, approccio applicabile tanto allo studio del linguaggio quanto all’analisi di fenomeni antropologici come i sistemi di parentela.
Lévi-Strauss, nella sua ricerca sui miti, sosteneva che l’importanza non risiedesse nelle singole parole o frasi – cioè nella forma linguistica – ma nelle unità narrative di base. Questi elementi costitutivi della trama rappresentano le minime unità di significato.
A queste unità fondamentali Lévi-Strauss diede il nome di “mitemi”.
Il compito del ricercatore consiste proprio nell’identificare questi mitemi e studiarne le relazioni reciproche. In sostanza, si tratta di analizzare la trama narrativa come un tessuto di connessioni. Virgilio applicò questo metodo ai miti legati all’isola di Lemno, nel Mare Egeo settentrionale, concentrandosi in particolare su tre grandi cicli mitologici e sulle loro intricate relazioni.
La prima leggenda riguarda l’eroe greco Filottete: morso da un serpente velenoso, viene abbandonato sull’isola di Lemno dai Greci diretti a Troia.
Il secondo ciclo mitologico ha come protagonista Hypsipyle, l’unica donna che risparmiò il padre durante la terribile Notte dei delitti di Lemno, quando le abitanti dell’isola uccisero tutti gli uomini per vendetta. Il terzo gruppo di leggende si concentra invece sul dio Efesto, precipitato a Lemno dopo essere stato scagliato giù dall’Olimpo da Zeus. A prima vista, questi tre cicli mitologici lemni sembrerebbero non presentare alcuna connessione reciproca.
Virgilio iniziò il suo lavoro raccogliendo tutto il materiale mitologico sopravvissuto, per poterne estrarre il sistema narrativo sottostante. Come sappiamo, i miti raramente seguono uno sviluppo lineare: varianti, divergenze e persino contraddizioni sono elementi costitutivi di una tradizione che attinge a fonti molteplici e diverse. Il suo approccio ai testi ricordava quello di un cartografo intento a tracciare una mappa di territori mitologici inesplorati. In questa operazione, mostrava una certa diffidenza verso le interpretazioni consolidate e i documenti tradizionali, preferendo esplorare personalmente questo terreno e verificare con il suo filo a piombo quei particolari che considerava significativi.
Con questo metodo rigoroso, ricompose pazientemente una mappa complessiva a partire da singoli frammenti che forse nessuno aveva mai considerato prima.
Virgilio possedeva l’arte di individuare schemi narrativi e ricavare significato proprio là dove, nel tremolio delle diverse versioni mitiche, sembrava impossibile riconoscere alcun ordine. La sua specialità consisteva proprio nel tracciare la cartografia di connessioni invisibili, di duplicazioni narrative e di inversioni motivazionali.
Sarebbe utile illustrarvi il suo metodo con un esempio concreto, ma un tale tentativo sarebbe probabilmente destinato a fallire.
Consideriamo il ciclo mitico di Filottete. Dalla complessa tradizione testuale che lo riguarda – estesa dal VII secolo a.C. al II secolo d.C. – Virgilio isolò ben undici varianti distinte.
Oltre alla mancanza di tempo, la stessa ricchezza di versioni rende impossibile raccontare il mito senza privilegiarne una particolare, attribuendole così un’autorità che probabilmente non ha mai avuto nella tradizione antica.
L’unico elemento comune a tutte le versioni è l’episodio del morso del serpente. Tuttavia, il luogo e il momento in cui avvenne, la specie del serpente, le conseguenze e le cause del morso variano considerevolmente da una narrazione all’altra.
Con la sua proverbiale attenzione al dettaglio, Virgilio riuscì a organizzare sistematicamente tutte queste varianti leggendarie e, come amava dire lui stesso, a “farle dialogare” tra loro.
Se desiderate ascoltare questo silenzioso dialogo tra le diverse versioni del mito, vi consiglio di ricorrere direttamente al libro di Virgilio, piuttosto che affidarvi ai miei inevitabilmente parziali tentativi di spiegazione.
Concludo qui, nella speranza di avervi offerto una panoramica sintetica ma significativa dell’opera scientifica di Virgilio. La sua scomparsa lascia senza dubbio un vuoto nel mondo della ricerca e dell’insegnamento universitario. Per me personalmente rappresenta una perdita che sentirò profondamente negli anni a venire.
Vi ringrazio per la cortese attenzione.